Il volo bivacco è il modo più bello e affascinante per vivere a contatto con la natura, percorrendo centinaia di chilometri muniti solo di un'ala, senza motore.
Si decolla, si percorre una tappa per poi atterrare e ripartire il giorno seguente. L'equipaggiamento è ridotto allo stretto necessario: il deltaplano o parapendio sotto ....

...... il quale spesso si dormirà, un sacco a pelo e poco altro. Per mangiare, sovente l'unica soluzione è l'ospitalità di un montanaro. Soli, senza aiuti esterni, quando non si riesce a volare oppure si è scesi troppo in basso per ridecollare, bisogna proseguire a piedi.

Didier Favre ha inventato questo modo di volare, percorrendo le Alpi; era un uomo straordinario quanto semplice e per questo poco noto fuori dalla ristretta cerchia dei piloti di Volo Libero.
A differenza di tanti eroi moderni, non aveva sponsor milionari, curatori dell'immagine e del marketing, team e addetti alle riprese che lo seguivano; i testimoni delle sue avventure sono i pastori e il suo diario.

Didier Favre assieme ad una marmotta
Didier Favre (1947 Sion, Svizzera - 1994 Monthey, Svizzera), fu uno dei pionieri del deltaplano nel 1978 e poi Campione Nazionale Svizzero nel 1984. Prima giornalista, successivamente lavorò nel settore dell'elettronica per poi dedicarsi interamente al volo bivacco.
Nel 1989 arrivò in cinque giorni di volo da Chamonix a Nizza; nel 1990 volò da Chamonix al Tirolo e in seguito da Fiesh a Briancon, passando per l'Italia. Nel 1991 superò tutto l'arco alpino, percorrendo oltre 444Km in 15 giorni; infine nel 1993 volò dal Principato di Monaco alla Slovenia, passando per la Francia, l'Italia, la Svizzera e l'Austria per un totale di ben 555Km.
Oltre al volo bivacco, sul quale ha anche girato un film e scritto il libro "Le vagabond des airs", Didier si dedicava molto alla difesa dell'ambiente.
Sostenitore dell' energia solare, che crea quelle stesse correnti da lui utilizzate, disse: "Se un uomo che pesa oltre 100 kg (con tutto il materiale) può attraversare le Alpi volando, egli potrà ancora più facilmente riscaldarsi, illuminarsi, spostarsi, grazie all' energia solare. Soprattutto se può immagazzinarla con l'aiuto di batterie, come però non è stato nel mio caso".
Nel 1994 lavorò come collaudatore per un prototipo di ala rigida, il Delka, con la quale purtroppo perse la vita.
Qui alcuni estratti del suo Diario:
 

Mt-Jovet, 17 luglio 1989

La scelta della strada da scegliere non è evidente. Questa zona di volo mi è totalmente estranea. Decolliamo e lasciamo giocare l'istinto. Il naso nelle nuvole per reperire il moto ascendente, risalgo il ruscello del Doron fino alla sua sorgente ghiacciata, costeggio il duomo dell'Arpont per oscillare poi su Modane. La valle di Maurienne è molto agitata e il vento scuote con forza la mia ala. Bisogna che vada via al più presto. Nell'impossibilità di prendere il tunnel del Frejus, sorvolo. Un'aquila mi accompagna. Una mezz'ora più tardi vicino a Bardonecchia in Italia, sotto il vento della montagna, è una discesa infernale fino a cento metri dal suolo. Malgrado le condizioni estremamente turbolente, non c'è verso di atterrare. Non c'è che una sola uscita, ed è in alto. Mi appoggio su un monticello e arrivo a soffocare la paura dell'altitudine. Delle ventate di aria calda mi issano violentemente a qualche decina di metri e poi mi lasciano cadere. La giostra dura più di un'ora ma il risultato è positivo. Dal monticello raggiungo il versante nord della montagna, l'ascensione diventa sempre più evidente. All'ombra delle nuvole, a più di 3000 metri, è la festa. Il calore delle profondità ha lasciato il posto alla freschezza delle altezze, l'eccitazione alla serenità, i dubbi sulla sicurezza, l'agitazione all'armonia. I miei occhi abbracciano il paesaggio a 360 gradi. Tutto è voluttà e bellezza, un incitamento alla contemplazione, alla venerazione per questa natura e a questa ala che la fa scomparire. Privilegio supremo degli uomini-uccelli, sogno e realtà si confondono.
Con una planata cancello un'altra volta la frontiera per ritornare in Francia; piacere e ascendenza termica si dividono con una planata sul monte Janus, strapiombante il Monginevro. Il sole muore, l'ombra ricopre delle pareti lisce che collegano alle foreste fino a Briancon e rende questi luoghi inospitali per un bivacco. Cercando l'angolo propizio, risalgo faticosamente verso nord. Arrivato in cima è la rivelazione. D'un tratto si rivela il massiccio del Queyras. Sotto i miei occhi il lago dell'Ascensione e i suoi tre picchi fratelli si dividono un altopiano di un verde cangiante. In più la luna, l'acqua e le marmotte, a 2350 metri. L'atterraggio contropendio sopra un tappeto d'erba a ridosso del piccolo lago si fa con scioltezza con la punta dei piedi per non disturbare. Più in la una capanna di un pastore che mi ospita offrendomi un alloggio, un pezzo di carne secca e del latte condensato, i soli alimenti portati compongono il festino annaffiato dall'acqua della sorgente vicina. Qualche panca usata come letto, l'armonia tace. Tutto è semplice, tutto è buono.

 

Combeau, France, 10 luglio 1989

Un solo volo e tutto è cancellato. Decollo da St-Andrè-les-Alpes nella speranza di rimontare la Svizzera. Cinque ore più tardi, atterro vicino a dei montoni, sul colle del Seigneur tra la piccola e la grande Autanne dell'Est de Gap; 80Km di piacere avendo come tappa la traversata del lago incantato di Serre Poncon a tremila metri d'altitudine. Avendo la pancia vuota, Pierre Michel, il pastore, mi offre qualcosa per nutrirmi per parecchi giorni e mi indica una capanna per l'alloggio. Sulla porta c'è scritto: "Cabane di Combeau. BENVENUTI, siate come a casa vostra". Pulizia, rusticità e generosità sono le tre qualità che mi colpiscono una volta entrati. Sotto ai barattoli del the, del caffè e del sale: "Tutto è a vostra disposizione".

 

Incontro con Gisella la moglie del pastore; Colle di Vars, France, 26 luglio 1991

Senza alcuno sforzo per mantenermi in aria, compio un'evoluzione sotto una nuvola. Con dolcezza mi fa passare il colle del Vars dietro al quale atterro. Sono le ore 20,00. L'ala è ben piegata, sebbene poco soddisfatta di questa giornata. Raggiungo il gregge di montoni che bruca qualche centinaia di metri più in là. Mentre mi avvicino tre cani mi vengono incontro abbaiando e saltando senza però impressionarmi.
Imbacuccata in quattro strati di vestiti, tanto fa freddo, scorgo la padrona, la moglie del pastore. Dall'inferno passo al paradiso, rapidamente fraternizziamo. La sua capanna è un oasi di pace. Mentre mi occupo del fuoco, lei prepara da mangiare, una vera festa che si conclude con un generoso Genepi (erba e liquore). Tutto è così buono...Gisella mi parla con amore, fino a notte inoltrata, del suo mestiere, dei suoi mufloni, della natura; anche se il prezzo da pagare si chiama solitudine.
Come Claude, Marc, Philippe e molti altri pastori che ho incontrato, Gisella è una pastorella transumante. Purtroppo, per la prima volta in questo anno queste pecore sono sta trasportate con il camion e questo a lei dispiace. Una volta arrivava a piedi con tutta la sua colonia mettendoci tre settimane, percorreva i 250Km che la separavano dai suoi quartieri invernali nel Var.
Il bivacco lei lo conosce e lo apprezza. Il fuoco crepita, l'unico letto occupa metà dell'unica stanza. Tutto d'un tratto la bacchetta magica: la fata bivacco ha trasformato l'universo. Eccomi ripiombato nel più caldo ambiente che non oserei includere nei miei più pazzi sogni. Tormenti, miserie, noie sono spazzati via. Prendo alcuni materassi nel granaio che si trova sopra l'unica stanza nella capanna dove dorme Gisella. È tutto ciò che serve per il mio comfort.

 

Incontro con un'aquila: La Rosiere, 26 luglio 1992

Alla base dell'ascendenza nella quale mi trovo, un'aquila si mette a girare e si avvicina. È almeno la decima aquila da quando sono partito dalla Costa Azzurra. Ogni volta è la stessa emozione, lo stesso piacere, lo stesso sentimento di connivenza. Essere nella scia reale è la consacrazione del volo.
Didier Favre in volo
È un aquila giovane, lo si riconosce da alcuni punti bianchi che ha sulle ali e sulla coda. La sua apertura alare supera i due metri, la mia è cinque volte più ampia. Nessun timore ne aggressività da parte sua: da molto tempo ormai le aquile hanno accettato le nostre ali e non le attaccano più. Talvolta, mentre mi occupo dell'ascendenza, ho il sentimento di conservare la distanza che ci separa, ma ad ogni primo scarto da parte mia, alla prima mancanza di destrezza, lei si allontana. Per lei tutto è facile: riesce a gestire direttamente le imperfezioni della termica, gioca con le ali; mentre io non ho che l'effetto di bilanciamento del mio corpo per influire sulla mia ala.
Giunta alla mia altezza, mi osserva con calma. Voliamo insieme per tre o quattro secondi che rovino manipolando la mia macchina fotografica per immortalare l'avvenimento. Poi mi supera di cento metri e mi abbandona alla mia termica che perde la sua virulenza...

 

La folle traversata delle Alpi - Meteo avversa, 20 Giugno 1993

Esattamente un anno dopo il mio primo tentativo di attraversare le Alpi, eccomi di nuovo nello stesso posto: Sospel, nell'entroterra del Principato di Monaco. Le condizioni meteo però sono molto diverse. L'anno scorso ho dovuto attendere 10 giorni per lasciare questo posto, quest'anno le termiche sono "fumanti". Proprio davanti al decollo leggermente sulla destra la "pompe de service" mi aspetta e mi porta a base cumulo a 8 metri al secondo. Il mio amico Patrick Guerne è l'unico testimone, emozionato di vedermi partire con destinazione Slovenia: mi riprende con una telecamera.
Le difficoltà non tardano. Dopo una quindicina di chilometri, mi rendo rapidamente conto che mi sarà impossibile proseguire.
Il "Col du Turini" è perduto tra le nubi che ricoprono tutta la montagna. La mia ala non ha la solita maneggevolezza e mi obbliga costantemente a controllare la velocità. Si impone l'atterraggio.
Dove? E' il grande interrogativo, perchè fino a quel momento non me ne ero minimamente preoccupato. Non ci sono terreni pianeggianti, e nemmeno qualche piccolo pendio senza ostacoli. Infine decido per un minuscolo campo circondato da alberi da frutta, parzialmente falciato e preceduto da una linea elettrica. Come se tutto ciò non bastasse un bel vento di coda aumenta la difficoltà.
Bell'inizio! Sarebbe troppo stupido rompere l'ala al primo volo.
Non ho altra soluzione che atterrare sulle rotelle fissate alla barra di controllo e frenare l'ala lanciata a tutta velocità a causa del vento dietro, strisciando col corpo sul suolo. Il bordo d'attacco si ferma a 30 centimetri da un prugno. Che brivido!
Ripiegando l'ala mi accorgo che durante il montaggio avevo dimenticato di mettere il "nasetto". Il problema di maneggevolezza è spiegato. Questa è la prima lezione che mi dimostra che non sono ancora in sintonia. Sono scoppiato, non ho ancora recuperato dalla corsa che ho fatto ieri dal bordo del mare (Monaco) a Sospel.
Ci tenevo a fare questa strada a piedi. Piuttosto che risalire a piedi con l'ala in spalla, preferisco ritornare in taxi al decollo iniziale e ricominciare da capo. Ho ancora questa ultima chance, perchè una volta in strada non avrò più diritto ad alcun altro mezzo di locomozione che la mia ala e le mie gambe. Approfittiamo un'ultima volta per il ritorno alla casella di partenza.

 

La folle traversata delle Alpi - Sembra di essere nel Far-West, 23 Giugno - 3 Luglio

Il Mistral interrompe il mio volo sulle alture del Grande Seolane e mi tiene a terra per parecchi giorni. Dopo il Mistral i temporali. C'est ma chance! Il bel tempo mi avrebbe fatto cancellare questa meravigliosa regione con un colpo d'ala. Fortunatamente vento e pioggia mi permettono di scoprirla ed incontrare i personaggi che vi abitano. Nel Vallone di Laverq, i pastori sorvegliano i montoni stando sulle loro cavalcature. Hanno un'aria fiera. Marcel, coi suoi baffi autoritari, fa mostra di carattere; è lui il capo. Regna come un signore sulle sue terre. André, nel suo grande mantello verde che deborda sul posteriore del suo cavallo bianco, è tutta calma e dolcezza: e suo figlio. Fransoise, l'adolescente con la pettinatura "afro", li accompagna. Verosimilmente sembra avere trovato il suo ideale di vita in questa vallata sconosciuta dal mondo.
Al borgo un colonnello in pensione veglia sulla chiesa e sul paese; strana coabitazione che sembra funzionare perfettamente. Il fatto è che il colonnello Silve, vecchio comandante del reggimento di Briancon, è di pasta buona. Me ne stupisco poichè mi aspettavo di trovarmi davanti un uomo rigido ed autoritario. "La guerra, la montagna, la natura e i miei otto figli mi hanno fatto così" mi spiega il colonnello. Con sua moglie ed alcuni amici dell'abbazia, dedica buona parte del suo tempo a fare di Laverq un luogo privilegiato dove gli amanti della natura sono i benvenuti.
Dall'altra parte del passo di Séstrière, presso la stazione La Foux d'Allos, che è deturpata da un'enorme costruzione di cemento, due pastori vivono uno di fianco all'altro, senza ancora avere avuto il tempo di conoscersi .
Lionei un ragazzo della periferia di Toulon dimostra una maturità ed una saggezza esemplari: è innamorato della natura e per niente al mondo vorrebbe fare un altro mestiere. "Faccio il più bel lavoro del mondo, quello del pastore" mi dice con la convinzione dei suoi 20 anni, poi aggiunge citando "Il piccolo principe" di Saint Exupery: "La gente si stupisce che io non abbia acqua corrente ne elettricità e mi domanda spesso: come va? Quello che vorrei che mi chiedessero è: come va il tuo gregge?"
L'altro pastore si chiama Yannick; lo conobbi l'anno scorso nel mio primo tentativo della traversata delle Alpi, in una meravigliosa regione che mi aveva profondamente segnato, la Galèbre. Suonando parecchi strumenti, mi aveva insegnato i rudimenti del blues per l'armonica. Il ritrovarsi allietato dalle bevute, è caloroso e ritmato dal 'iembé", un tam-tam africano.
Yannick è selvaggio, taciturno, pieno di libertà, di natura e del suo lavoro.

 

La folle traversata delle Alpi - Cinque anni per arrivare in Russia

Sul passo di Allos su cui passa una strada carrozzabile, percepisco qualcosa di strano. Mi sembra di sognare. Un'enorme barba grigia, un grande sorriso, una coda di cavallo e un cappello da cow-boy. E' Irek, un danese che due anni fa si è costruito una roulotte sul telaio di una citroen e si è messo in viaggio coi suoi due cavalli, due polli e un gallo. E' un incontro intenso e caloroso tra un vagabondo della strada e un vagabondo dell'aria. Lui conta di attraversare le Alpi e raggiungere la Russia in cinque anni...
Privilegio supremo, dopo il passaggio dell'aquila, presso la Grande Seolane, ricevo la visita del più grande uccello delle alpi: il gheppio barbuto. Appena sopra la mia testa, si ferma un attimo, poi sparisce dietro al rilievo alla ricerca di una carogna.

 

La folle traversata delle Alpi - 20 Luglio 93

Ho lasciato La Plagne come un ladro, alle prime luci dell'alba, dopo parecchi giorni di cattivo tempo per atterrare all’alpeggio di Entre Deux Nantes, dietro la stazione di Arcs. Dal Purgatorio arrivo al Paradiso lasciando la sofisticazione per la semplicità. La vita di Jean Poccard non è facile, si alza alla mattina alle tre e mezzo e va a letto la sera alle nove e mezzo, tuttavia lui la passa cantando. Questo padre di sette figli è uno degli ultimi artigiani formaggeri che fabbrica il formaggio di Beaufort all'alpeggio. Ne è fiero, così come lo è di suo figlio Pierre che si è appena laureato e che conta di riprendere il suo posto all'alpeggio. Jean è inesauribile, felice di dividere la passione del suo mestiere con questo ospite che viaggia volando. Per dormire, mi spetta un'insolita camera da letto: la formaggeria, tra le enormi vasche e le imponenti pile di formaggi.

 

La folle traversata delle Alpi - L'inversione delle parti, 27 Luglio 93

Lascio la Francia per la porta principale dopo aver solleticato il ghiacciaio di Mt. Pourrv e sorvolato il Lago di Chevrille, presso Tigne e Val d'Isère. A 3400 metri di altitudine mi godo il ghiacciaio di Ruitor attraversato da sei alpinisti. Lo spettacolo è tanto più grandioso quanto più vicino volo al ghiacciaio, sopra i seracchi ed i crepacci che posso osservare in profondità. Una volta passata la cresta ho qualche problema, di breve durata, a causa delle discendenze un po' forti, che però hanno il vantaggio di avvicinarmi a 5 o 6 laghi, uno più bello dell'altro, che riposano ai piedi del ghiacciaio, presso un rifugio alpino.
Quanta gente intorno al rifugio: ci sono decine di persone a guardare questo privilegiato che con un magico colpo d'ala sorvola il ghiacciaio e spirala tranquillamente per riprendere quota...
Attraverso la Valle d'Aosta e mi trovo in difficoltà, molto basso dall'altra parte. Un vento salvatore che soffia stranamente da ovest, mi issa infine sulle cime dove mi aspettano tre aquile con le quali volo in pieno accordo per una dozzina di cerchi. Una di esse si posa su una roccia e mi guarda. Scena insolita e sorprendente in cui è l'uccello, a terra, che osserva l'uomo in aria. Sono ad un centinaio di metri da lei, sforzandomi invano di guadagnare quota e girando in una termica recalcitrante. Perdo quota e, ad ogni virata, mi avvicino all'aquila. Infine mi avvicino troppo e se ne va.

In lontananza il colle (passo) del Gran San Bernardo, frontiera tra Italia e Svizzera verso il quale mi dirigo. Un vento da nord mi impedisce di raggiungerlo. Prima di perdere ancora altitudine, atterro sulla cima di Crevacol, dove c’è una capanna di sassi. La pendenza è molto ripida, il vento discendente è forte e irregolare e mi rende difficile la manovra di atterraggio. All'ultimo momento, proprio prima di toccare il suolo, passo da un sole abbagliante all'ombra e mi ritrovo cieco per qualche secondo. Il contatto è rude e mi fa piegare i montanti del trapezio.
A casa del pastore del posto riesco a raddrizzarne uno, ma l'altro è da buttare. Fortunatamente ne ho con me due di ricambio, ben sapendo che i montanti sono la parte più delicata dell'ala. Essi giocano il ruolo di fusibili, evitando così di rompere altre parti dell'ala che, per ragioni evidenti di peso e di volume, non posso portare con me.

 

La folle traversata delle Alpi - In trappola, 14 Agosto 93

Appena prima di Chur, nel vaIlone di Vattis, mi trovo in grandi difficoltà. In pochi minuti ho perduto tutta la quota, a causa di un vento turbolento fino a 100 metri dal suolo. Atterrare in questo luogo perduto sarebbe una catastrofe e forse la fine del viaggio. Sono prigioniero di pareti rocciose e foreste "appuntite". In fondo alla valle un bacino di raccolta lungo diverse centinaia di metri mi impedisce di uscire dal basso.
E' una trappola. Non ci sono strade ne sentieri per raggiungere gli alpeggi, salvo essere predisposti alla scalata. Con tutto il mio carico non ho alcuna chance.
Non c'è che una soluzione per evitare il peggio: uscire dall'alto con le mie ali. Nel punto in cui la vallata fa un gomito, scavato dal letto di una cascata, riesco ad arrestare l' emorragia di altitudine ed a mantenermi all'altezza di uno chalet nascosto tra gli alberi. E' così vicino che posso contarne le tegole. Poco a poco riesco a rubacchiare qualche metro e dopo un'ora di lotta e concentrazione è la liberazione! E navigo infine ad un'altezza più confortevole. Questo piccolo miracolo lo devo al Foehn, che si è alzato e che non tarda a mostrarsi maligno. Soffia da sud in modo irregolare e a volte violento obbligandomi ad aggrapparmi alla barra di controllo con una forza inabituale che mi affatica fisicamente e nervosamente. Sono sottovento e sotto le cime, cosa che non facilita certo il mio compito.
Quando le raffiche diventano troppo turbolente fuggo in direzione della pianura dove questi piccoli corsi d'acqua diventano la più importante arteria fluviale d'Europa, il Reno.
Sorvolo Landquart e mi lascio portare dal vento sfruttando ogni soffio d'aria, non tanto nella speranza di guadagnare quota, quanto per non perdere troppo. Più avanti ai piedi del monte Vilan il vento se ne va verso l'alto: conto di fare altrettanto. E' una scuola di pazienza. Non avere mai fretta, negoziare ogni metro, esigere dall'ala tutto il suo potenziale di volo. Con la vallata che si apre le turbolenze dovute ai rilievi sono scomparse, al pilotaggio muscoloso si sostituiscono dolcezza e finezza; alcune rondini cacciano gli insetti, delle ali, parapendio e delta, provenienti da non so dove atterrano in un campo vicino, i gerani fioriscono ai balconi di Malans: è proprio ora che io trovi un'ascendenza.
Le cime degli alberi non sono che a qualche metro. Ho l'imbrago aperto nell'eventualità di un atterraggio. In mezzo a quegli alberi il margine di manovra è ridotto e ci sono bolle irregolari che bisogna prendere al volo cabrando l'ala. Mi trasformo in trapezista e a forza di contorsioni arrivo alla cima del monte Vilan. Atterro sulla punta del Monte Chruz a 2200 metri. Che volo!
Piegata l'ala prendo il sentiero per raggiungere un rifugio che ho visto dall'alto. Di colpo mi fermo e resto immobile. A 5 metri su un grande sasso si erge un'aquila, immobile anche lei. Non mi ha visto e torno subito indietro per prendere la macchina fotografica. Le pulsazioni sono al massimo. Incredibile: un'aquila è là, al suolo, a qualche metro e non sospetta la mia presenza. Senza rumore la aggiro nascosto dal rilievo. Per fotografarla da vicino non ho altra scelta che alzarmi di colpo e sorprenderla. Arrivo a due metri da lei, faccia a faccia. Emette un grido acuto e vola via in attimo. La foto è mancata: nello stress ho regolato male l'apparecchio.

 

La folle traversata delle Alpi - Perduto nel bosco, 23 Agosto 93

Ho portato l'ala fino al rifugio di Obstansersee, nel Tirolo austriaco, prima di ridiscendere di corsa al villaggio di Kartitsch per riprendere il resto della mia roba. Per guadagnare un quarto d'ora scelgo una scorciatoia attraverso la foresta... è il sentiero dei boscaioli che muore presso alcuni grandi alberi tagliati. Che fare? Invertire il cammino o proseguire nel bosco col mio grande sacco sulla schiena alla ricerca di un altro sentiero? Proseguo senza trovare altro che una foresta sempre più inospitale. Sopraggiunge la notte e mi impone un bivacco; proseguire sarebbe troppo pericoloso, preferisco rinunciare al confort del rifugio e affrontare il freddo sul posto con la sottotuta di Polartec come unico pantalone e il mio sacco a pelo di 700 grammi.
Malgrado il freddo la notte è piacevole; prima di bere devo sgelare l'acqua della borraccia.
Un imponente costone mi impone di ridiscendere al fondo del vallone. Per fortuna che ieri non ho insistito per raggiungere il rifugio. Scendendo i pendii ripidi e sassosi mi trovo spesso al limite dell'aderenza. Il volo bivacco presenta meno pericoli nel suo aspetto aereo che in queste situazioni. Una scivolata e mi troverei 50 metri più basso, solo, e senza speranza di essere soccorso. Lontano dal disperarmi, rido di queste complicazioni che completano così bene l'avventura. Mettere tutta l'attenzione al piede che avanza, al sasso che scivola, alla roccia su cui si aggrappano le dita, aiutarsi col bastone per tenere l'equilibrio, arrangiarsi per saltare un fosso, superare uno a uno tutti questi ostacoli senza poter sbagliare, è una sensazione inebriante. Poco importa il tempo che passa, l'energia profusa, il decollo ritardato: il momento è intenso stimolato dall'incertezza della riuscita.
Tutto questo per guadagnare un quarto d'ora...

 

La folle traversata delle Alpi - Masse d'aria contrastanti, 30 Agosto 93

30 Agosto 93 - La notte è un susseguirsi di scivolate che interrompono il sonno. Non avendo trovato un terreno pianeggiante per il bivacco, ho dovuto accontentarmi di una terrazza erbosa leggermente in pendenza. Per combattere l'umidità del suolo, ho preso l'abitudine di infilarmi nella vela dell'aquilone che però ha lo svantaggio di essere molto scivolosa, tanto più che anche il sacco a pelo ha una superficie molto liscia. Ogni volta che riesco a prendere sonno, scivolo in fondo all'aquilone e mi sveglio per ritornare in cima al mio letto-toboga.
A causa di un considerevole contrasto di due masse d'aria non posso prendere il volo. A destra l'aria continentale offre un paesaggio invitante con dei plafond a oltre 3500 metri. Il cielo è cosparso di meravigliosi cumuli bianchi con la base scura e perfettamente disegnata. Sulla mia sinistra, nella direzione in cui dovrei andare, la massa d'aria marina fa condensare le nuvole più in basso di dove mi trovo. Ogni tanto mi avvolge avviluppandomi in una bianca ovatta. Incredibile scena che si svolge davanti ai miei occhi e che non mi fa rimpiangere di essere inchiodato al suolo.

 

La folle traversata delle Alpi - Bianca: unico aiuto "ecologico", 30 Agosto 93

Nei pressi della cima del monte Volaia, vicino alle fortificazioni dell'ultima guerra, sono in buona posizione per il decollo, a parte qualche raffica che soffia ogni tanto di coda. Che fare? Prendere o no il rischio di decollare in queste condizioni e così vicino alla meta finale? Il minimo errore ed è la fine, così vicino al traguardo. In altre circostanze, fuori dal volo bivacco, non avrei avuto nemmeno un esitazione. Aspetto il momento ideale in cui una termica possa creare un vento frontale più consistente rispetto al vento meteo. Alle 14 in punto il segnavento attaccato al cavo dà un fremito e si gira nel senso giusto: è il momento. Ci dò dentro e decollo senza problemi.
Dopo un'ora di volo e 30 km un piccolo errore di valutazione mi porta sottovento di una cresta. Tre minuti più tardi sono atterrato in fondo ad un vallone in un pascolo verde circondato da alberi e cespugli di rose. Sorrido. Non m'importa di avere "bucato" li, sono felice di essere uscito da una brutta situazione e di essermi avvicinato alla meta finale, la Slovenia, che ormai è ad appena 40 Km. Tra le campane delle mucche e delle pecore, mentre smonto l'ala, sento un forte raglio: ci deve essere un asino che pascola nei paraggi. Nella mezzora che segue il mio arrivo sono ospite di Arturo all'alpeggio di Ramaz, che è a tavola con altri tre pastori, felice di poter parlare di nuovo in italiano.
Nel Tirolo del sud la gente parla solo tedesco. Arturo taglia la polenta col filo poi la distribuisce insieme a del formaggio, fatto in casa, ed un grosso bicchiere di rosso. Mi godo questo momento di grande armonia assaporandolo lentamente.
Bianca, l'asina di 14 anni, non porta carichi da un bel pezzo. Arturo le mette il basto rispolverato per la circostanza e vi fissa due appoggi a forma di mezzo barile. Su uno appoggio l'ala accorciata a 4 metri, che supera di parecchio l'asina davanti e dietro, sull'altro metto imbrago ed accessori. Con la mia preziosa compagna risalgo il sentiero fino al passo di Lanza dove mi aspetta un buon rifugio presso l'alpeggio. "Avanti Bianca” e rido nel veder avanzare a passo lento questa simpatica asina. Questa sarà l'unica eccezione al principio della non-assistenza che mi sono dato prima di partire. Cento volte ho rifiutato l'aiuto che persone compassionevoli mi offrivano, non volevo che venisse consumato, per il trasporto mio o della mia ala, nemmeno un centilitro di benzina. Bianca mangia solo erba: come potevo resisterle? Al rifugio di Lanza l'apparizione di questo energumeno a torso nudo che canta a squarciagola seguito da un'asina bizzarramente bardata e caricata con un tubo interminabile fa sbalordire.
L'aiuto di Bianca si ferma qui: per la parte più scoscesa che resta da coprire, farò io stesso l'asino, cosa che non mi pone alcun problema, tanto sono in forma.
La riporto al proprietario. In effetti ci ritorna da sola. Appollaiato sulla sua schiena mi lascio portare dal suo passo lento lungo la strada, con un piede in ognuno dei barili, suono l'armonica e canto qualche canzone. C'è la luna piena. "Piano Bianca, piano. Vai con calma, questo è un momento indimenticabile".

 

La folle traversata delle Alpi - Oltre la meta, 2 Settembre 93

Sorvolo Tarvisio, ultima città italiana prima della Slovenia, mi serve un'ultima termica fino a base nube per arrivare in paradiso.
Ho paura. Paura di non trovarla e di dover atterrare in questa regione ostile dove le montagne sono interamente coperte di alberi ed impediscono ogni decollo.
Concludere un così bel viaggio a piedi e passare la frontiera con l'ala sulle spalle sarebbe un orrore. Più mi avvicino alla Slovenia dove già arriva il mio sguardo, più perdo quota. Che fare? L'ultima valle che devo attraversare non ha neanche un cumulo. Dopo qualche esitazione faccio dietro front e torno a cercare la termica vicino al pendio all'altezza degli alberi. Di colpo una gran scossa: ne ho presa una. A oltre 5 metri al secondo, lasciando allegramente una mano per fare delle foto e immortalare questo momento eccezionale, salgo fino a base nube. Il passaggio della frontiera non è più che una formalità che compio con gioia e cantando. Le condizioni sono così buone che volo fino a Jesenice, dopo aver sorvolato Kranjiska Gora. Qui, come la conclusione di uno spettacolo teatrale, un velo di cirri invade il cielo, il vento cambia direzione e si mette di fronte. Sono le 17: un terreno incolto si rivela perfetto per l'ultimo atterraggio. Arrivano i bambini. La comunicazione è difficile.
Con l'armonica suono l'aria di una canzone italiana che per caso loro conoscono. Cantano senza capire l'esuberanza di questo straniero venuto dal cielo...
Felice!

 

Bibliografia

Hobby Volo n.18 Gennaio-Febbraio 1993, n.28 Marzo 1994
Volare Sport - vari numeri dal 1991 al 1994
Jean Pierre Petit per il disegno di Didier Favre accanto alla marmotta.